Diritto alla disconnessione

Il confine sfocato tra lavoro e vita privata.

Grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie è diventato così semplice e immediato lavorare “anytime, anywhere” che, oggigiorno, il vero problema sembra essere quello di porre un argine alla dilagante iperconnessione e ai conseguenti rischi psico-sociali, dall'overworking al burnout, per intenderci.

Il quadro è sicuramente complesso e suscettibile di molteplici filoni di indagine, ma, dal punto di vista giuslavoristico, la punta dell'iceberg è il confine – sempre più sottile e sfocato – tra sfera professionale e vita privata.

La Corte di giustizia dell'Unione europea ha ripetutamente sottolineato la necessità di tenere separato orario di lavoro e tempo di riposo, ma risulta evidente che l'irruzione della tecnologia nella quotidianità crea l'occasione di frequenti ed insidiose interferenze, definite dagli studiosi “time porosity”, cioè una sorta di osmosi tra dimensione on-line e off-line del lavoratore.

La disconnessione si presenta, così, come la possibilità di “staccare la spina” e consiste nella facoltà del lavoratore di non utilizzare strumenti tecnologici e di non essere coinvolto in comunicazioni elettroniche relative alla dimensione lavorativa al di fuori dell'orario di servizio. Tutto ciò senza – ovviamente – subire alcun tipo di ripercussione negativa nel caso in cui – terminato l'orario di lavoro – il dipendente spenga il cellulare di servizio e il computer, non risponda a telefonate provenienti da colleghi, superiori o sottoposti, non risponda a mail e messaggi durante le ferie, le festività, i periodi di riposo.

Se la disconnessione è necessaria per assicurare la tutela del benessere psico-fisico del lavoratore, nell’ordinamento giuridico esiste questo “diritto”?

Nell'ordinamento giuridico italiano non esiste una disposizione normativa specifica sul diritto alla disconnessione per tutti i lavoratori, ma, nella legge n. 81/2017, all’articolo 19, è rintracciabile un accenno alle «misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro», riferito esclusivamente al lavoro agile.

Quindi il diritto alla disconnessione è previsto soltanto per i c.d. smart workers? i dipendenti “tradizionali” sono obbligati a leggere le e-mail e i messaggi di contenuto lavorativo anche di notte e durante i giorni di ferie o possono tranquillamente “staccare la spina”? Possono avvalersi del “diritto” alla disconnessione?

Occorre innanzitutto rilevare che in Italia la disconnessione non viene qualificata come “diritto”, a differenza di quanto avviene, ad esempio, in Francia e in Spagna. Il “cuore” della questione è proprio verificare se una norma ad hoc sia indispensabile per garantire la disconnessione dei lavoratori al di fuori dell'orario di servizio e, al riguardo, la risposta più convincente sembra sia “no”.

Non appare, infatti, necessaria una previsione di legge specifica sul punto, in quanto il c.d. diritto alla disconnessione non è una novità dei nostri giorni, anche se sicuramente risulta amplificato nell'epoca della digitalizzazione della prestazione e della precarizzazione delle tutele lavorative.

La disconnessione, in fondo, si basa sul principio fondamentale di separazione tra sfera professionale e personale, garantito da norme cardine del nostro sistema giuridico, tutelato a livello costituzionale e comunitario per salvaguardare la salute psico-fisica e promuovere lo sviluppo integrale della persona.

Quindi cosa accadrebbe se un datore di lavoro dovesse pretendere una risposta del lavoratore alla telefonata, messaggio o e-mail al di fuori dell'orario di servizio?

Al dipendente spetterebbe la maggiorazione retributiva per lavoro straordinario, eventualmente anche festivo o notturno. E proprio l'utilizzo di strumenti tecnologici consentirebbe la tracciabilità di tali prestazioni agevolando così il lavoratore nell'assolvimento dell'onere della prova, che è, generalmente, il tasto dolente per il ricorrente.

Ma se quindi sussiste una sorta di diritto alla disconnessione, perché continuiamo a non “staccare la spina” dal lavoro nel tempo libero e, conseguentemente, a sentirci sempre più sotto pressione e stressati?

Probabilmente non si tratta soltanto di una questione di diritto del lavoro, ma anche di un problema sociale e culturale, che richiede un generale cambio di mentalità.

Un'ultima riflessione può essere dedicata ai confini – sempre più labili e sfumati – tra sfera privata e dimensione professionale: la distinzione che viene spesso operata tra vita personale e lavoro sottintende un'antitesi?

Trovare il giusto equilibrio non è sicuramente semplice, come dimostrano le numerose incursioni dell'attività lavorativa nel “privato” della vita familiare. Infatti, oltre al work at home, c'è anche la «sovrapposizione della vita personale all'attività lavorativa», costituita da tutte le attività di tipo organizzativo relative alla vita privata e familiare oppure attività di tipo ricreativo come chattare con amici o familiari tramite applicazioni per il cellulare.

In un corretto esercizio del diritto alla disconnessione bisogna senz’altro tener conto di entrambe le facce della medaglia, al fine di poter effettuare un primo importante passo verso un efficace bilanciamento tra tecnologia, lavoro e vita privata.